Modelli di business: dal pay al free, al pay, al free…

Negli anni si sono succedute le varie tendenze nei modelli di business da seguire per gli editori ed i proprietari di contenuti in generale.

Se all’inizio la speranza e la tentazione di proporre contenuti in modalità pay ha raccolto molte adesioni. Oggi questa speranza è svanita nella maggior parte dei piani strategici dei portali e degli editori (vedi Financial Times e New York Times per esempio).

Oltre ai quotidiani che hanno abbandonato in gran parte i modelli a pagamento, per esempio c’è anche Google che ha chiuso uno dei pochi business a pagamento che cercava di portare avanti (Google video con contenuti premium).

E’ difficile trovare aree dove il modello pay funzioni. Anche iTunes in realtà non è assimilabile ad un modello pay vero e proprio, la vendita dei contenuti è sostenuta dalla vendita dell’hardware, se questo non fosse il portale non starebbe a galla.

Il mercato Adult è senza dubbio un esempio di business che invece si regge sul modello a pagamento. Un altro è quello dello sport: squadre di calcio, MotoGP, Formula Uno hanno dei servizi a pagamento che offrono contenuti video, anche se di certo l’entità dei ricavi online, rispetto a quelli tradizionali, è ridicola; inoltre, è probabile che nel momento in cui gli utilizzatori online si moltiplicassero, sarebbe meglio passare al modello advertising in alcuni casi.

In sostanza, quando l’audience potenziale supera un certo punto critico, il modello pay può non essere più la scelta migliore; pur restando chiaro che per alcuni canali molto verticali/tematici (in primis l’adult) il pay rimane nell’aria.

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